Riportiamo un brano (epurato, secondo lo Statuto della nostra associazione, da ogni riferimento politico) tratto da un'interessante lettera del ministro LUCA ZAIA* al "Corriere del Veneto" in cui si difende la proposta di inserire la lingua veneta tra quelle insegnate in quei territori in cui questa è stata storicamente impiegata.
A tutti quelli che pensano alla lingua come a un mondo morto, mai in evoluzione, custodito dalle accademie e dalle corti, vale la pena di ricordare che fu Umberto Eco, non un pericoloso eversore leghista, ad affermare che a far l'Italia fu Cavour, ma a far l'italiano fu Mike Bongiorno. Detto questo, a quelli da sempre educati alla doppia verità (ce n'è una per loro e una per il popolo) ribadisco il mio pensiero.
(...) Il veneto non è un dialetto, ma una lingua nazionale. Si tratta cioè di quel lessico materno che attiene alla storia di una comunità che vive su un territorio. Si tratta di una ricchezza, non di una privazione. È una ricchezza socialmente trasversale perché appartiene al ricco come al povero. Lo stesso non può dirsi per quella lingua meta territoriale (e un po' metastorica) che è l'italiano scolastico, per la cui difesa si intenerisce Fausto Pezzato. È una questione di logica: nessuno vuole separare il Veneto dal resto della Penisola usando la lingua come grimaldello. Piuttosto è vero che una parte della nazione ha cercato di ghettizzare il Veneto censurando la sua lingua e ridicolizzandola attraverso potenti sistemi di comunicazione di massa, insegnanti che con il territorio non avevano nulla a che spartire e programmi scolastici come chiavi dell'ideologia statalista. Rivendicare il diritto di utilizzare la lingua madre non è asserragliarsi nel fortino, ma sentirsi un tutt'uno con i propri valori.
(...)
*ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali
22 maggio 2009
sabato 30 maggio 2009
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