giovedì 22 gennaio 2009

virgilio Giotti, quando il triestino diventa lingua di poesia

Virgilio Giotti nasce a Trieste il 15 gennaio del 1885 da Riccardo Schönbeck e da Emilia Gheotto, da cui il nome d'arte. Portato al disegno frequenterà la Scuola Industriale, dalla quale uscirono varie generazioni di pittori e scultori triestini. Nel 1907, per evitare il servizio militare sotto l'Austria, fugge a Firenze dove conosce Scipio Slataper, i fratelli Stuparich, Alberto Spaini e Biagio Marin. A San Felice in Val d'Ema, non lontano da Firenze, nel 1911 incontra Nina Schekotoff, originaria di Mosca e ne fa la compagna della sua vita. In Toscana nascono i suoi tre figli: Tanda nel 1913, Paolo nel '15 e Franco nel '19. Per vivere viaggia in Valtellina, in Carnia, in Svizzera a vendere giocattoli e oggetti artigianali toscani. Inizia a scrivere in dialetto triestino nel 1909. A Firenze l'editore Gonnelli gli pubblica nel 1914 il Piccolo canzoniere in dialetto triestino la raccolta delle poesie composte tra il 1909 e il 1912. Torna a Trieste nel 1919 e va ad abitare in periferia, a Montebello, in via La Marmora 34 (vi rimarrà fino alla fine dei suoi giorni). In quegli anni apre una botteguccia di giornali in Cittavecchia che durerà un anno. Gli amici gli trovano un impiego alla Lega Nazionale. Incontra quotidianamente Saba, Stuparich, il pittore Bolaffio e il giovanissimo Roberto Bazlen. Nel 1920 la Libreria Antica e Moderna di Saba pubblica le sue poesie e prose in lingua, scritte tra il 1916 e il 1919, con il titolo Il mio cuore e la mia casa. Nel 1928 per le edizioni di Solaria escono Caprizzi, canzonete e storie. Nel 1930 Giotti è assunto nell'amministrazione dell'Ospedale Maggiore come avventizio e tale resterà fino al pensionamento nel 1957. Nel 1931, presso l'editore fiorentino Parenti, esce la sua quarta opera, Liriche e idilli, che raccoglie le nuove poesie in lingua scritte tra il 1920 e il 1924, nonché il gruppo di poesie dell'edizione triestina Il mio cuore e la mia casa. Escono altre liriche su varie riviste nazionali: "Circoli", "Lirica", "Solaria", "Ateneo Veneto" e nel 1941, presso l'editore Parenti, escono le poesie composte tra il 1928 e il 1936, con il titolo Colori. Nel 1943, per le edizioni Le tre Venezie, esce l'opera completa delle poesie in dialetto, composte dal 1909 al 1943, per la quale raccolta egli mantiene il titolo Colori. Al centro della sua opera si situa il dramma della scomparsa in Russia dei due figli, Paolo e Franco, nel corso dell'ultima guerra. La vicenda era resa ancora più tragica dal fatto che la loro madre era russa. Nei mesi che precedettero la fine, intercorse un fitto scambio epistolare con il padre (pubblicato poi nel 2005 con il titolo Lettere al padre, dialogo tra Virgilio Giotti e i figli durante la campagna di Russia per Il Ramo d'Oro Editore), che resta un altissimo documento umano e civile, non privo peraltro di un notevolissimo interesse letterario, come sottolinea, nell'introduzione al volume che raccoglie le loro lettere, Cesare Segre. Le poesie del padre ci offrono un prezioso riscontro sulla sua opera in versi, anticipando quegli Appunti inutili (il diario uscirà postumo nel 1959 per Lo Zibaldone di Anita Pittoni), nati nel dopoguerra, che Pasolini definirà un capolavoro del Novecento e Giani Stuparich, nel breve testo introduttivo a quelle pagine scriverà: "Confesso d'aver letto la prima volta queste pagine di diario con la gola serrata e con un forte stringimento di cuore..." Nel 1946 due amici triestini Emilio Dolfi e Manlio Malabotta pubblicano in poco più di 100 esemplari Sera, che raccoglie le poesie scritte tra il 1943 e il 1946; l'opera verrà ristampata nel 1948 dall'editore torinese De Silva. Nel 1949, in soli 25 esemplari fuori commercio, escono le Poesie per Carlota, composte tra il 30 giugno e il 4 luglio del 1949. L'ultima raccolta di liriche, Versi, sarà pubblicata da Lo Zibaldone nel 1953. Nel giugno del 1957 l'Accademia dei Lincei gli conferisce il premio "Feltrinelli" per la poesia. La raccolta di tutte le sue poesie (tranne le Poesie per Carlota), Colori, pubblicata dall'editore Ricciardi e di cui il poeta farà appena in tempo a correggere le bozze, uscirà postuma.

Virgilio Giotti muore a Trieste il 21 settembre 1957.


Da Versi (Trieste, 1953) Vècia mòglie
La xe in leto, nel scuro, svea un poco;
e la senti el respiro del marì
che queto dormi, vècio anca lui ‘desso.
E la pensa: xe bel sintirse arente ‘
’sto respiro de lui, sintir nel scuro
che’el xe là, no èsser soli ne la vita.
La pensa: el scuro fa paura; forsi
parché morir xe andar ‘n un grando scuro.
‘Sto qua la pensa; e la scolta quel quieto
respiro ancora, e no’ la ga paura
nò del scuro, nò de la vita, gnanca
no del morir, quel che a tuti ghe ‘riva.

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