mercoledì 21 gennaio 2009

I linguaggi parlati nel Friuli Venezia Giulia

Composizione plurilingue del territorio del Friuli Venezia Giulia

Luogo di incontro e di intersezione delle tre grandi civiltà europee, quella
latina, quella germanica e quella slava, il Friuli Venezia Giulia rappresenta
un'area linguistico-culturale complessa nella quale, accanto alla lingua
italiana (nella sua forma standard e nelle sue varianti regionali), convivono altri
idiomi romanzi, slavi e germanici che fanno del territorio regionale un vero e
proprio microcosmo plurilingue.
Le principali varietà romanze ‘native’ sono rispettivamente il friulano,
che rappresenta la variante orientale di un autonomo tipo linguistico (il ladino),
e il veneto, praticato sia nella forma ‘coloniale’ tipica della Venezia Giulia e
dei principali centri urbani del Friuli sia sotto forma di adstrato sia infine, ad
esempio nelle località lagunari, come parlata di antico insediamento. Per
quanto riguarda la componente slavofona, esistono compatti territori di
espressione slovena a ridosso del confine nelle province di Trieste e Gorizia
oltre a varie comunità disseminate nella provincia di Udine, nelle valli del
Natisone (Slavia Veneta) e del Torre e nella Val Resia, nella Val Canale e nel
Tarvisiano; isole linguistiche tedesche infine si annoverano in provincia di
Udine a Timau, nel territorio del comune di Paluzza, e a Sauris. Si devono poi
fare i conti con l'italiano regionale, che costituisce ormai la modalità
espressiva di larghe cerchie di parlanti non più dialettofoni. Questo articolato
insieme di tipi idiomatici concorre a delineare, come si vede, un panorama
linguistico ben più ricco di quanto si pensi, nel quale trovano posto oggi anche
molte lingue straniere, come riflesso della composizione multietnica della
società di oggi.
Per quanto riguarda in modo specifico il repertorio linguistico di area
friulana, esso si presenta molto articolato e non rientra perfettamente né nel
bilinguismo né negli schemi della diglossia.
Dal punto di vista del n u m e r o delle varietà praticate, una prima
specificità è l'esistenza in Friuli di una diffusa condizione trilingue, che
comporta cioè la presenza, accanto all'italiano e friulano, di una o più varianti
di dialetto veneto. Nei centri maggiori del Friuli (Udine, Palmanova,
Cervignano ecc.) il repertorio linguistico dei parlanti - ed in particolare di
quanti appartengano a determinati strati sociali come borghesia e commercianti
- può infatti arricchirsi di una terza varietà, un tipo di veneto ‘coloniale’,
ereditato dalla dominazione veneziana, che divide con l'italiano il ruolo di
lingua di prestigio; va peraltro osservato che, dopo un certo periodo di notevole
‘tenuta’, questa varietà sta conoscendo una certa regressione, a vantaggio
dell'altra lingua positivamente connotata in senso sociale, ossia l'italiano. In
altre zone del Friuli (nel Pordenonese e a ridosso della province di Venezia,
Belluno e Treviso) la presenza del veneto dipende da vicinanza geografica; in
taluni casi può affiancarsi al friulano in altri anche soppiantarlo nell'uso.
Dal punto di vista del t i p o d i r e g i m e b i l i n g u e , ci si pone il
problema se il rapporto tra friulano e italiano ovvero tra veneto e italiano
aderisca più agli schemi del bilinguismo ovvero a quelli della diglossia
(naturalmente laddove convivono l'una accanto all'altra tutte e tre le varietà,
l'alternativa si porrà fra trilinguismo e triglossia). Qui la risposta è di necessità
articolata: se fino a qualche tempo fa probabilmente si doveva parlare di
diglossia, in quanto i due codici erano nettamente separati nel repertorio dei
parlanti ed assolvevano a funzioni complementari (le pratiche comunicative
formali erano esclusivamente affidate all'italiano; il friulano per contro era
tipicamente ristretto alla conversazione familiare, alla comunicazione fra amici
e con persone note), oggi il rapporto tra italiano e friulano è meglio
interpretabile in termini di bilinguismo in quanto possono intervenire parziali
sovrapposizioni e coincidenze funzionali: da una parte infatti il friulano, anche
sotto la spinta di fenomeni di autoidentificazione e di ‘lealtà linguistica’, è
praticato in una certa misura come mezzo espressivo anche al livello della
comunicazione pubblica e della scrittura letteraria; dall'altra l'italiano,
diventando lingua nativa di larghe cerchie di parlanti, estende il suo spazio
comunicativo anche a quei domini informali che in passato erano di pertinenza
delle varietà locali.

1. Friulano
- Ambito di diffusione
Ai fini della determinazione dell'area linguistica friulana, bisogna tenere conto
della distinzione tra Friuli storico e attuale configurazione della regione
friulanofona. Così se storicamente il limite occidentale dell'area linguistica di
espressione friulana coincideva con il corso del Fiume Livenza (fino al 1838 ad
esempio il territorio di Portogruaro era nella giurisdizione del Friuli), tale
confine "si è poi modificato nei secoli successivi, rendendo difficile individuare
una linea di separazione precisa fra il dominio del friulano e quello
del veneto" (Anna Maria Boileau, I gruppi linguistici nella Regione Friuli-
Venezia Giulia, in IRRSAE 2001, 2, p. 8); analogamente ad est di tipo friulano
era la parlata preveneta di Trieste e Muggia sopravvissuta fino agli inizi del
XIX secolo. Oggi il friulano è effettivamente parlato nelle province di Udine,
Gorizia e Pordenone; oltre che in alcune propaggini della provincia di Venezia
(comuni di Lugugnana e Bevazzana).
- Vitalità
Secondo stime di massima (la più recente è quella desumibile dalla Ricerca
sulla condizione sociolinguistica del friulana, Udine 2001, curata da Linda
Picco e coordinata da Raimondo Strassoldo), in rapporto a un bacino potenziale
calcolato in 715.000 abitanti, il friulano è effettivamente praticato dal 57,2%
della popolazione residente, pari a circa 430.000 parlanti.
-Varietà di friulano
Secondo l'analisi di Francescato 1982a, pp. 65-67 è possibile distinguere fra le
seguenti varietà:
a) friulano "centrale";
b) varietà goriziana;
c) tipo carnico;
d) tipo della Carnia occidentale "che si incontra nella valle del Degano con le
sue diramazioni e nella valle d'Arzino" (p. 66);
e) friulano occidentale.
Sono considerate varietà atipiche l'area di Forni di Sotto e Forni Sopra (esposta
a modelli venetizzanti), l'alta valle del Cellina con il dialetto di Erto.
2. Parlate venete praticate nel territorio del Friuli Venezia Giulia
All?interno del territorio del Friuli Venezia Giulia sono praticate anche
delle varietà venete riconducibili a diverse matrici.
2.1 Varietà venete di antico insediamento
Sono da considerare tali da una parte le parlate di Grado e Marano
Lagunare e dall'altra il cosiddetto bisiacco, che costituiscono "probabilmente la
diretta continuazione del tardo latino locale" (Francescato).
I dialetti di Grado e Marano sono riusciti a conservare la loro impronta
dialettale veneta nonostante la prossimità con la terraferma di espressione
compattamente friulana (a ridosso di Grado e Marano ci sono infatti
rispettivamente Aquileia e Carlino che sono centri friulanofoni); a proposito
delle varietà gradese e maranese si è parlato di ‘veneto lagunare’ (Carla
Marcato) sia per l'ambito geografico sia per la connessione storica con
l'insieme degli analoghi centri che si distribuiscono lungo tutto l'arco lagunare
alto-adriatico fino a Chioggia.
Per quanto riguarda il bisiacco (localmente bisiàc), è praticato nella
parte meridionale della provincia di Gorizia, il cosiddetto Territorio, con centro
di riferimento Monfalcone. Tuttavia il bisiacco vero e proprio non si parla in
questa cittadina (dove, semmai, si usa una sorta di triestino o un bisiacco
talmente contaminato da elementi triestini che non si può più definire tale), "ma
nel suo entroterra, in un triangolo che ha per lati il Golfo di Panzano, il corso
dell'Isonzo dalla foce (Sdobba) fino a Sagrado e la cresta collinare, con cui
termina l'altipiano carsico ... sino alle porte di Monfalcone stessa" (Doria 1986,
p. 481 della rist.). Sulla scia di Pellis 1930, Zamboni conferma la delimitazione
dell'area dialettale bisiacca col triangolo Sagrado - San Canzian d'Isonzo -
Monfalcone e la segnala come meglio conservata nei centri di Pieris, Begliano
e Fogliano. Nel complesso, in base alla classificazione di Pfister, i comuni
compresi nell'area dialettale bisiacca sono Monfalcone, Staranzano, Ronchi dei
Legionari, San Canzian d'Isonzo, Turriaco, San Pier d'Isonzo, Fogliano
Redipuglia e Sagrado, tutti in provincia di Gorizia. Circa l'origine di tale
varietà, c'è chi l'ha attribuita ad una sovrapposizione del veneto su un idioma di
ceppo friulano (Pellis) e c'è invece chi (Crevatin 1978), sulla base di nuovi e
più ampi materiali, avanza l'ipotesi "che esso possa piuttosto essere il risultato
finale di una parlata veneta autoctona storicamente legata alla costante presenza
veneziana" (Ursini 1988, p. 542).
2.2 Veneto di 'contatto'
Tra il Tagliamento e il Livenza, nel Friuli occidentale ed in particolare
lungo la fascia di confine veneto-friulana (oggetto delle indagini condotte da
Lüdtke nel 1957) troviamo un modello veneto irradiato da località adiacenti (è
giudicato prossimo a quello parlato in territorio trevigiano-bellunese), e dunque
dovuto a diretto contatto linguistico.
Il confine linguistico tra area venetofona e area friulanofona passa lungo
la linea Montereale Valcellina - Giais - Aviano - Dardago - Budoia -
Mezzomonte - Polcenigo - Vigonovo - Fontanafredda - Palse lasciando fuori
Sacile e Sarone.
Si devono in particolare considerare i dialetti cosiddetti veneto-friulani,
sistemi ibridi parlati in una fascia che "parte sotto l'altipiano del Cansiglio, alle
sorgenti del Livenza, ed include Polcenigo, Budoia, Aviano (con le
relativefrazioni), Vigonovo, Fontanafredda, Palse (in comune di Porcia), ipaesi
compresi tra Pordenone e Azzano Decimo (ad esempio Cimpello), Bannia,
Pescincanna e Farturlongo in Comune di Fiume Veneto, Chions con Villotta,
Bagnarola" (Rizzolatti 1996).
Una posizione particolare spetta infine alla parlata veneta della città di
Pordenone che negli strati sociali alti esibisce un veneto di tipo veneziano e
nelle classi medio-basse si avvicina a quella trevigiana (Marcato 2001, p. 46).

2.3 Veneto 'coloniale'
Con l'aggettivo ‘coloniale’ si intendono quelle varietà di veneto che, in
quanto praticate in aree non contigue a quelle in cui il veneto è nativo, non
devono la loro diffusione a un contatto geografico ma al prestigio che Venezia,
con la sua classe dirigente, aveva saputo irradiare al di fuori dei propri confini
in seguito alla supremazia della Serenissima (ci riferiamo in particolare al
periodo compreso fra il 1420 e il 1797 quando il Friuli centro-occidentale si
trovava nella giurisdizione della Repubblica di Venezia). Si tratta di varietà per
così dire ‘paracadutate’ dall'alto dal momento che "il rapporto tra friulano e
veneto non avviene in questo caso attraverso il contatto tra due comunità che
parlano i loro dialetti popolari, cioè diciamo attraverso un contatto orizzontale,
ma attraverso un contatto per così dire verticale, attraverso un processo di
acquisizione, da parte delle classi sociali più interessate alla mobilità, di una
varietà socialmente più prestigiosa in quanto parlata dai ceti dirigenti del Friuli,
di origine veneziana" (Vanelli 2000, p. 259).
Nel Friuli udinese le varietà venete coloniali sono radicate soprattutto nei
centri urbani, in particolare nel capoluogo (il veneto corrente a Udine prende il
nome di veneto udinese o semplicemente udinese) ma anche nei centri
intermedi come Palmanova, Spilimbergo, Codroipo.
Appartiene alle varietà di tipo ‘coloniale’ anche l'attuale dialetto
triestino, il quale soppiantò il vecchio idioma di tipo friulano parlato al suo
posto fin verso il 1830 ed al quale, per distinguerlo dal "triestino moderno" (o
semplicemente "triestino"), Graziadio Isaia Ascoli (Saggi ladini, 1873, p. 479)
applicò la denominazione di tergestino.
A sua volta il veneto di tipo triestino, muovendo dal capoluogo giuliano,
tocca Monfalcone e poi, risalendo il corso dell'Isonzo attraverso l'area bisiacca
(Ronchi, Pieris, Sagrado ecc.), raggiunge la città di Gorizia per esaurirsi infine
nei dintorni del centro isontino "(a sud-est di Cormons) dove incontra il tipo
veneto della “koiné” udinese" (Francescato 1964; rist. 1970, p. 61).

3. Sloveno
La presenza di una minoranza slovena nello Stato italiano risale
all'annessione delle "Province della Venezia", conseguente al trattato di pace
del 3 ottobre 1866, che, al termine della III Guerra d'indipendenza, incluse nei
confini del regno anche gli abitanti della "Slavia veneta". La modesta
consistenza numerica dell'insediamento e il clima culturale poco propenso alla
valorizzazione delle culture minoritarie, fece sì che fino alla prima guerra
mondiale il gruppo rimanesse del tutto privo di tutela giuridica.
Gli equilibri sarebbero cambiati alla fine della prima guerra mondiale
quando entrarono a far parte dello Stato italiano da una parte l'area linguistica
slovena della Val Canale in provincia di Udine e dall'altra soprattutto la ben più
cospicua popolazione di lingua slovena della Venezia Giulia. Si pose da allora
con forza il problema dell'identità slovena all'interno della comunità italiana;
fortemente contrastata nel periodo del fascismo, la comunità slovena ha
gradualmente guadagnato una ben precisa posizione nel secondo dopoguerra
fino al recente riconoscimento legislativo attuato con la legge n. 38 del 2001.
Lo sloveno è parlato, con diversi gradi di tutela e di vitalità, nelle
province di Trieste, Gorizia e Udine.
Nella provincia di Trieste troviamo la parlata slovena nel centro della
città, nella periferia (Chiarbola, Servola, Guardiella, Barcola, Gretta, Scorcola,
Roiana) e nelle frazioni del comune di Trieste (Santa Croce sopra Trieste,
Prosecco, Contovello,Villa Opicina, Trebiciano, Basovizza), nonché nei
comuni attorno a Trieste (S. Dorligo della Valle, Duino-Aurisina, Sgonicco,
Monrupino).
Nella provincia di Gorizia la parlata slovena vive ancora nei sobborghi
della città e nell'area collinare a nord del capoluogo (Collio).
Per la provincia di Udine parlate di ceppo sloveno resistono nella Val
Canale, in Val Resia, nelle valli del Torre e del Natisone; è doveroso mettere in
evidenza la complessa situazione della Val Canale dove convivono elementi
linguistici del mondo romanzo, germanico e slavo rappresentando l'unico caso
in cui si incontrano queste tre culture.

In assenza di un censimento linguistico generalizzato (il quesito
sull'appartenenza linguistica, previsto fino al 1961 per la sola provincia di
Trieste, non è stato più proposto nei successivi censimenti), una
quantificazione della popolazione di lingua slovena è difficile; essa è tuttavia è
calcolabile con buona approssimazione tra un minimo di 50 e un massimo di
100 mila persone.

1)
Tradizionalmente interpretato come continuazione del lat. bis aquae "con allusione al fatto che l'area si trova
tra i fiumi Timavo e Isonzo" (la formulazione è ripresa da Marcato 2002, p. 342, n. 119), il termine va più
probabilmente riconnesso con it. bislacco, con allusione a una parlata stentata, o con slov. bezjak "stupido" o
meglio nella specifica valenza di "profugo, fuggitivo", magari con riferimeno alle "popolazioni che si sono
trasferite o rifugiate in queste terre per sfuggire a guerre o invasioni" (Vicario 2005, p. 30).

(Il testo si trova in http://www.orioles.it/materiali/pn/Plurilinguismo_Friul)

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