Verso la fine del 2006, ricordo che sulle pagine de "Il Gazzettino" il giornalista Marchiori esordiva dicendo che la lingua friulana sarà definitivamente tutelata, “a differenza del veneto che è un dialetto”, con la nuova legge regionale. Ma che cosa distingue, davvero, una lingua da un dialetto? A parte la discutibile sottolineatura, dobbiamo ricordare, partendo da un testo presentato al Parlamento Europeo dal dr. Roberto Bolognesi dell’Università di Groningen in Olanda (da cui è tratto quasi integralmente il nostro intervento), che rispetto al problema della distinzione fra lingue e dialetti, è importante precisare da subito che una simile distinzione è, oltre certi limiti, tecnicamente impossibile, oltre che politicamente pretestuosa. Tecnicamente, perciò, i termini lingua e dialetto sono, se non perfettamente equivalenti, certamente interscambiabili e il loro uso non implica nessuna precisa distinzione genetica e/o gerarchica. Meno che mai viene sottinteso un giudizio di valore. Questo per i linguisti. L’uso che invece dei termini lingua e dialetto ancora spesso si fa in politica implica un rapporto gerarchico fra le due entità e un giudizio di valore: la lingua sarebbe qualcosa di superiore al dialetto; il dialetto una forma degenerata, o comunque inferiore, della lingua. Se da un lato vi sono dunque linguaggi le cui diversità e specificità rispetto all'italiano sono state già riconosciute da parte dello Stato italiano, come il friulano o il sardo ad esempio, dall'altro ve ne sono altri che ancor oggi vengono totalmente negati e discriminati da parte dello Stato, come il veneto, ma che a livello regionale e anche da parte di studi internazionali vengono riconosciuti - da numerosi studiosi - come lingue, cioè come sistemi linguistici ben distinti dall'italiano. Difatti tutti i cosiddetti dialetti italiani sono lingue distinte, e non dialetti dell'italiano, eccezion fatta per il toscano e il romanesco. I cosiddetti dialetti italiani sono tutti lingue che si sono sviluppate in modo autonomo e diverso rispetto al fiorentino che ha costituito la base per l'italiano standard: il piemontese e il napoletano, per esempio, non meno che il sardo e il friulano. Dall’Unità d’Italia fin quasi alla fine del secolo scorso i diritti linguistici delle minoranze sono stati sempre elusi etichettando dunque come dialetti, anziché come lingue, tutti gli idiomi minoritari che non godevano della tutela di uno stato confinante con il nostro paese. Come esempio dell'arbitrarietà di questa situazione valga il caso del sardo: fino al 1995 il governo italiano parlava sempre ed esclusivamente di dialetti sardi, negandone la dignità linguistica, due anni dopo veniva approvata dal governo la legge sulla lingua sarda. Linguisticamente in Sardegna non era cambiato nulla, ma in Italia era cambiata la maggioranza di governo.
Il veneto (lingua di cui nella nostra regione il bisiàc, il gradese, il maranese, sono antiche e particolarissime varianti, come potrebbero essere, rispetto al friulano centrale, alcune parlate della Carnia o del Concordiese) fa parte anch’esso di quei linguaggi discriminati e "tagliati" da parte dallo Stato italiano, che la classifica erroneamente come un dialetto dell’italiano. La Lingua Veneta viene invece classificata lingua nettamente distinta dall’italiano standard in diversi studi internazionali come l’Unesco Red Book of Endangered Languages (1993-1996) del professor Tapani Salminen –Università di Helsinky e l’Ethnologue, Languages of the World, 13ma Edizione, pubblicato negli Stati Uniti d’America dal Summer Institute of Linguistics. Il veneto costituisce uno degli esempi più chiari della malafede di chi pretende di discriminare le lingue sulla base della loro pretesa inferiorità: la lingua madre di diverse importanti personalità del passato, come l’esploratore Marco Polo o lo scrittore Carlo Goldoni, non era certo l’italiano-standard ma il veneto.
Friulano e veneto, per rispondere alla domanda iniziale, sono dunque secondo più che autorevoli studiosi (come molti altri linguaggi italiani ingiustamente non riconosciuti) lingue alla pari e parimenti meritevoli di tutela. E, se in questo senso la legislazione italiana è in evidente ed ingiustificato ritardo, la nostra Regione- in quanto Regione a Statuto Speciale - potrebbe compiere un primo passo partendo almeno con un riconoscimento ufficiale di quelle preziose parlate venete presenti da più secoli nel nostro territorio che oggi, molto più di altre, sono a rischio d’estinzione. Cosa che in questi giorni si tenta di fare con una proposta di legge che speriamo, davvero, dopo molti appelli inascoltati, di vedere finalmente attuata. Simboli viventi, questi linguaggi così rari e preziosi, della straordinaria ricchezza linguistica e culturale delle nostre terre di confine.
Pubblicato da ivan crico a 21.41
martedì 20 gennaio 2009
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